Psicologo, psicoterapeuta e sessuologo a Cento e Mirandola

La storia di Miriam, bella e impossibile

"Nei racconti i nomi sono inventati e alcuni dettagli sono stati modificati al fine di non rendere riconoscibile la persona e tutelarne la privacy"

Miriam, vent’anni, è una bella ragazza dai lineamenti delicati, occhi e capelli chiari, che si racconta con un linguaggio preciso ed elegante.

 

Parla della storia della propria vita con fluidità e chiarezza, con un evidente piacere nel narrare di sé stessa. Si mostra consapevole del proprio talento e delle proprie capacità ma anche delle difficoltà nel metterle a frutto. Esprime un sentimento di diversità nei confronti dei coetanei che la accompagna da sempre.
Il racconto di Miriam è animato come un romanzo ma appare fin troppo definito e concluso; non mi lascia alcun margine per fare domande, esprimere dubbi o interrogativi.
La sua è la storia di una “bambina miracolo” o come dice lei di “una bambina predestinata”, nata dopo quindici anni di matrimonio da genitori quarantenni, unica figlia e unica nipote di nonni in gara per prendersi cura di lei.

 

La richiesta di iniziare un percorso di psicoterapia avviene sette mesi dopo la morte del padre molto amato ed idealizzato, la cui malattia è stata seguita da Miriam giorno per giorno, come rivela il suo accurato linguaggio medico con il quale ne descrive le fasi e gli interventi chirurgici, in un crescendo di precisione minuziosa ed isolamento affettivo. Sembra infatti non riuscire ad esprimere o provare alcuna sofferenza mentre mi parla.

 

Il motivo per cui Miriam si rivolge a me è legato ad un blocco negli studi che dura ormai da un paio d’anni: attualmente oscilla fra il desiderio di frequentare una facoltà umanistica e quello di iscriversi a medicina, desiderio sicuramente rinforzato dalla malattia del padre.
In bilico tra questi due desideri Miriam lamenta di provare una profonda stanchezza, vorrebbe “fare una crociera di due mesi e non preoccuparsi di nulla” ma ritiene di non potersi permettere ulteriori perdite di tempo. È consapevole di avere talento in molti campi (il nuoto, la musica, il disegno e soprattutto la scrittura) ma non essendo mai riuscita a metterli a frutto, un poco alla volta ha smesso di coltivarli.

 

Il percorso scolastico di Miriam è stato accidentato: bambina prodigio la cui intelligenza era oggetto di culto in famiglia, fino alla scuola dell’obbligo si è distinta per gli ottimi voti. In adolescenza tuttavia ha iniziato ad evidenziare una certa difficoltà ad accettare regole e limiti, mostrandosi determinata ad occuparsi solamente di ciò che la interessava. Ne conseguono rapporti interpersonali con gli insegnanti eccezionali o pessimi. Alcuni infatti le perdonavano ogni mancanza di diligenza ed applicazione considerandola un genio “strano e creativo”, mentre altri non ne tolleravano l’arroganza.
Miriam nel corso delle sedute parla poco del rapporto con la madre, che descrive sempre presente e attenta ai suoi bisogni. Tuttavia nel ricordare le reazioni dei genitori al suo scarso rendimento scolastico negli anni del liceo il quadro idealizzato si incrina ed emergono tensioni conflittuali. Miriam ricorda il loro sconcerto: erano così stupiti da sommergerla di raccomandazioni, non lasciandole il tempo di riorganizzarsi nello studio: “Mia madre era talmente abituata ad andare dagli insegnanti per ricevere i complimenti che non tollerava quanto stava accadendo. Viveva troppo le mie cose”.
Con i coetanei Miriam evita di mettersi in gioco e non tollera di sentirsi inferiore. La “generosità” poco corrisposta che si attribuisce sembra derivare soprattutto dal bisogno di sentirsi “al sicuro” nella sua posizione di superiorità. I rapporti con i ragazzi lasciano invece trasparire un vissuto di oppressione e scarsa capacità empatica. Accenna ad un grande amore mai dichiarato per un compagno del liceo di cui è stata l’amica e la confidente; verso i diciott’anni vive il primo rapporto sentimentale e sessuale che descrive con distacco.

 

L’aspetto che più mi colpisce della storia e della narrazione di Miriam è la sensazione di profonda solitudine che mi comunica, sicuramente acuita dal lockdown e dalle conseguenze della pandemia.

Su questa solitudine concordiamo di lavorare insieme e iniziare un percorso di psicoterapia.

 

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Dott. Marco Lodi

Psicologo, psicoterapeuta
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