Viviamo in una società frenetica che ci sottopone costantemente a ritmi intensi e stressanti. In questo contesto i comportamenti alimentari disfunzionali sono spesso il sintomo di problematiche emotive e relazionali più ampie.
Nel corso dei primi colloqui Francesca è un fiume in piena, quasi non mi lascia il tempo di parlare tanto è il suo bisogno di buttare fuori ansie ed emozioni represse da troppo tempo. Inizia raccontandomi delle sue continue e infruttuose diete per poi passare rapidamente alle delusioni sentimentali vissute. In particolare mi racconta di essersi sposata dopo alcuni anni di fidanzamento all’età di 30 anni e dopo due anni di matrimonio è nato Luca.
Da quel momento sono iniziate le difficoltà col marito, che è diventato sempre più distratto e assente. Francesca ha quindi iniziato a fargli presente le proprie lamentele e la conflittualità si è accesa fino a diventare insostenibile per Francesca stessa che ammette di essersi sentita intrappolata tra le responsabilità materne e i litigi coniugali per cui non riuscendo più a sostenere tante pressioni alla fine ha chiesto il divorzio al marito il quale in un primo momento è stato riluttante ma alla fine ha ceduto.
Probabilmente in cuor proprio Francesca sperava che il marito lottasse per preservare il matrimonio ma è rimasta profondamente delusa. Da quel momento in poi si è concentrata esclusivamente sui bisogni e sulle necessità del figlio Luca oltre che sul lavoro. Mi racconta che l’ansia, che provava tutto il giorno, si abbassava solo la sera quando dopo cena si metteva sul divano davanti alla tv mangiando un pacchetto di biscotti o patatine.
Con il passare degli anni Luca è cresciuto ed è diventato via via sempre più autonomo e indipendente per cui Francesca ha avuto sempre più tempo libero a disposizione che anziché essere vissuto con benessere le procurava sempre più ansia e senso di vuoto.
Questa tecnica permette di diventare consapevoli dei nostri stati interni (sensazioni fisiche, emozioni, pensieri) relativi al mangiare, riconnettendoci con la nostra innata saggezza interiore.
Alla base del training di mindful eating ci sono quindi le pratiche di mindfulness che incrementano la capacità di essere consapevoli, di dirigere l’attenzione al momento presente, di sospendere il giudizio e le reazioni automatiche.
Complessivamente, questa funzione de-automatizzante della mindfulness promuove strategie autoregolatorie adattive e outcomes salutari. Spesso infatti apriamo il frigo in modo automatico o mangiamo una patatina dietro l’altra di fronte alla TV senza nemmeno renderci conto di essere arrivati alla fine del pacchetto; fino ad arrivare a disturbi conclamati del comportamento alimentare, come accade nella bulimia nervosa e nel disturbo da alimentazione incontrollata (BED) dove esiste una problematica correlata alla difficoltà di gestire le emozioni e controllare gli impulsi.
non prescrive cosa mangiare e cosa non mangiare, ma insegna come mangiare. Attraverso l’apprendimento di graduali esercizi di alimentazione consapevole e meditazioni guidate il paziente sviluppa una relazione salutare con il cibo, basata sull’ascolto dei segnali interni del corpo, sull’uso dei cinque sensi, sulle emozioni, sui pensieri, imparando a disattivare il “pilota automatico” o l’effetto di tutti quei condizionamenti che incessantemente ci vengono ripetuti nell’infanzia (ad esempio, ‘Mangia tutto che ci sono bambini che muoiono di fame’, ‘Se mangi la verdura, avrai il dolce’, ‘Finisci quello che hai nel piatto così fai felice la mamma’).
ogni morso diventa un’esperienza unica che amplifica l’esperienza del momento presente. Le diete (intese in senso restrittivo- e non etimologicamente come ‘stile di vita’) non solo ci disconnettono dal nostro corpo, ma violano anche il principio di piacere associato al cibo. La soddisfazione legata al cibo può assumere configurazioni diverse: godere del cibo che sto mangiando, sentirmi piacevolmente pieno, una situazione conviviale che riunisce amici e/o familiari. Le diete rimuovono il senso di soddisfazione legato al cibo: non mangi perché ‘è buono’, ma mangi perché ‘devi’. L’idea di controllo, limitazione, sacrificio interferiscono pesantemente con la sensazione fondamentale su cui si basa il nostro rapporto con il cibo: il piacere. Questo rappresenta un paradosso.
La soluzione è rappresentata dalla mindfulness che enfatizza la soddisfazione del cibo non nella quantità, ma nella qualità: grazie a esercizi guidati, si scopre di essere in grado di trarre piacere da piccole quantità di cibo. E la soddisfazione legata al cibo non verrà poi seguita da sensi di colpa, come accade spesso negli emotional eaters: si coltiva l’astensione da posizioni giudicanti e rigide rispetto a sensazioni, pensieri, emozioni e comportamenti che riguardano il nostro modo di nutrirci. Questo aspetto è fondamentale per imparare a sviluppare un atteggiamento di amorevole gentilezza in contrasto con quegli atteggiamenti colpevolizzanti che spesso esistono nei confronti del cibo. Questa esperienza al contrario consente di coltivare l’arte del lasciare andare e dell’essere più accettanti.
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